Alle ore 19,35 di venerdì 17 agosto, la Gengis Khar col suo team al completo - Angelo, Paolo, Riccardo P., Grazia e Riccardo B. - ha raggiunto le porte di Dushanbe, la capitale del Tajikistan. Il nostro Rally sula Via della Seta si conclude qui. Siamo felici e, nello stesso tempo, anche un po' tristi. E' stata una grande avventura. Ma l'avventura finisce qui, a Dushanbe.
Poco dopo essere rientrati in albergo (con la polizia alle calcagna per lo spettacolo non autorizzato dei Mattacchioni) abbiamo ricevuto un sms urgente dagli amici del Cesvi. La questione riguardava il passaggio di proprietà della nostra Ford, prassi indispensabile per poter lasciare il Paese via aereo. Il notaio sarebbe stato disponibile solo sabato (domani) mattina considerato che lunedì si festeggia la fine del ramadan e martedì abbiamo l’aereo. La nostra sola possibilità era raggiungere Dushanbe da Samarcanda in un solo giorno di viaggio. All'incirca 500 chilometri di distanza che nella nostra vecchia Europa sono copribili in 5 o 6 ore al massimo ma in Asia centrale si rivelano una vera e propria estrazione al lotto.
Abbandonando ogni speranza di spingerci sino a Bukara, al primo sorgere del sole lasciamo Samarcanda e ci dirigiamo a sud. A ovest teniamo il deserto mentre ad est cominciano ad apparire i primi contrafforti della catena montuosa del Trans - Alay dove si arrocca il Tajikistan. Il paesaggio varia da chilometro a chilometro. All'inizio saliamo su tortuosi sentieri di montagna brulla e franosa sino a vedere, in lontananza, il luccichio delle nevi perenni. Ma ben presto la strada torna a scendere lungo ampie vallate dove piccoli boschi e il verde dell'erba da pascolo si alternano a larghe regioni conquistate dalle sabbie del deserto. Nell'Uzbekistan orientale, la desertificazione causata dal Climate Change è una verità che si tocca con la mano. I piccoli campi coltivati a patate, a cotone, a vigne basse o a granturco sono solo gli ultimi presidi di un mondo agricolo la cui sorte è già segnata. Cosa accadrà allora alla gente che qui vive di ciò che gli dà la terra e che al nostro passare ci saluta sorridendo, chiedendoci chi siamo e da dove veniamo, sempre pronta a darci una mano ad ogni nostra difficoltà?
Ancora più a sud, sono gli effetti della guerra in Afghanistan a farsi sentire. I controlli e i presidi di polizia, di militari armati di mitra e di blindati dell'esercito sono pressoché continui. Saremo stati fermati perlomeno una dozzina di volte, anche a poche centinaia di metri da un controllo all'altro. Passaporto. Dove andate. Chi siete. Avete armi con voi?
La nostra meta, Dushanbe, è ad est ma la nostra strada va a sud, verso Termez e la frontiera con l'Afghanistan in guerra. Da qui, dovremmo risalire a nord per deviare infine ad est.
Su consiglio di un camionista, decidiamo di tentare la sorte e di prendere una via che la mappa segna col colore bianco di strada secondaria ma che "taglia" direttamente ad est. Ma in Uzbekistan la carreggiata è terrificante anche nelle strade "rosse". Cosa ci attenderà? E, soprattutto, la nostra Gengis ce la farà davanti a sterrati che non di rado si aprono in vere e proprie voragini?
La sorte, quella che aiuta gli audaci, stavolta ci è benigna. La strada non è certo bella ma risulta comunque percorribile e solo in poche occasioni ci costringe a scendere e a procedere a piedi per alleggerire l'auto. Alle 16 siamo già al confine. Stavolta ce la caviamo con solo un'oretta o poco più di inutili scartoffie e stupide burocrazie. I doganieri erano impegnati a fare un mazzo come un palazzo ad un piccolo gruppo di simpaticissimi ciclisti inglesi che, partiti dalla Tahilandia, stavano rientrando in Patria pedalando. Che vi devo dire? Non c'è niente che dia più fastidio a chi vive con la religione del Signorsì che trovarsi di fronte a gente felice che va dove gli pare, senza confini che non siano quelli dell'immaginazione. La libertà non te la perdona nessuno.
Salutati gli amici globetrotter (che secondo me sono ancora fermi alla frontiera), noi entriamo finalmente in Tajikistan. Adesso possiamo chiedere alla gente la strada per Dushanbe e non per città intermedie. Che soddisfazione! Mancano 66 chilometri alla metà. Ci impieghiamo solo due ore e mezza. Che è un tempo da olimpiade da queste parti. La strada che va dal confine alla capitale è larga come un'autostrada ma totalmente sterrata e piena di buche e di dossi da sembrare una pista da cross. Inoltre, non essendoci segnaletiche sul terreno, gli automobilisti superano anche a destra e procedono tenendo indifferentemente la destra o la sinistra, a seconda delle condizioni della carreggiata. Pare l'incubo di un vigile urbano! Ma noi teniamo duro, pur se guardiamo nervosamente l'orologio preoccupati dall'avanzare del buio. Ma è solo l'ultimo batticuore. Alle 19,35 precise appare dietro una curva la porta della città di Dushanbe. Siamo arrivati.
Ma c'è ancora un problema da affrontare. A Dushanbe una ordinanza comunale vieta alle auto sporche di entrare in città. Lo so che pare una scemenza, ma vi assicuro che è così. Troviamo infatti numerosi autolavaggi nella prima periferia della città. Che fare? Lavare la Gengis dopo tutto quello che abbiamo passato insieme? Ogni grammo (meglio, ogni chilo) di polvere che la copre, ogni striscio di sporco, ogni traccia di unto, racconta le avventure che abbiamo vissuto lungo la strada. Come possiamo dare un colpo di spugna saponata a tutto questo glorioso luridume? Come cancellare quei bei segni appiccicosi di colla che ricordano gli adesivi con i quali siamo partiti ma che i fan ci hanno rubato durante il viaggio? No, no. Ordinanza o no. Noi entriamo in città con tutto il nostro sporco orgogliosamente sparpagliato sulla carrozzeria della Gengis. Non possiamo fare un simile affronto proprio a lei, alla nostra mitica, indimenticabile Gengis Khar che ci ha portato da Lainate a Dushanbe attraverso impervie montagne, soffocanti deserti e grandi laghi salati.
Ventun giorni e 8 mila 642 chilometri dopo.