lunedì 30 luglio 2012

Di campi minati e di strade perdute


Va bene. Siamo viaggiatori che non amano le superstrade. Lo sapete bene. Al cemento preferiamo il prato. All'asfalto lo sterrato. Detto questo, i campi minati reduci dell'assedio del '95, sarebbe meglio evitarli, giusto? Ed invece ci siam finiti dritti dentro. Non che lo abbiamo fatto apposta, eh? Saremo anche matti ma non aspiranti suicidi. Fatto sta che quella strada che usciva da Sarajevo ci pareva proprio quella giusta per portarci al confine con la Serbia (casomai ve lo state chiedendo, noi della Gengis il Tom Tom non ce lo abbiamo perché sappiamo perderci anche da soli). Quando la strada è diventata una stradina, ci pareva ancora quella giusta. Quando la stradina è diventato uno sterrato ci pareva che forse - forse? - non era quella giusta ma sicuramente da qualche parte ci avrebbe portato. Quando lo sterrato è diventato un sentiero da partigiani, infilandosi in gallerie larghe tre metri che stavano in piedi per grazia ricevuta, abbiamo pensato che probabilmente avevamo proprio sbagliato strada ma eravamo curiosi di vedere dove si andava a parare. Dove abbiamo visto il cartello col teschio rosso e su scritto "Mine" ci siamo detti: "Mah? Che ne direste di tornare indietro?... tanto per non far tardi...".

Quando, provando a girare la Gengis in due metri di strada, abbiamo trovato un altro cartello che diceva la stessa cosa anche per l'altra direzione, abbiamo tirato una serie di considerazioni: 1) gli avvisi di pericolo dovrebbero piazzarli ai bordi e non in mezzo ai campi minati, razza di deficienti!; 2) forse avere un Tom Tom in auto non è proprio una cosa così disprezzabile; 3) quel contadino - unica anima viva incrociata da due ore a questa parte - che si sbracciava come un pazzo nella nostra direzione non voleva solo salutarci; 4) chi è stato di noi che, quando ha visto lo sterrato, ha esclamato: “va di là che andiamo bene! Queste son strade che gli altri team non faranno mai”?
La prima proposta è stata quella di mandare questo tipo in avanscoperta a tastare il terreno. Ma noi della Gengis ci vogliamo bene come fratelli! Niente agnelli sacrificali. O si arriva tutti o non arriva nessuno. Così ci siamo fatti tutto il percorso in retro, cercando di mettere gli pneumatici sul solco già percorso. Beh... pare che sia andato tutto bene, giacché son qui che scrivo.
Per il resto della giornata, ci siam persi, ritrovati e ancora persi almeno altre tre volte. Camionisti e altri viaggiatori gentili ci han sempre aiutato a ritrovare la via. E questo, vale certo più di un Tom Tom, giusto? Adesso scrivo da... come cavolo si scrive... Pojate. Dov'è Pojate? A sud di Belgrado. (Credo). Alle Porte di Ferro ci arriveremo domani. Oppure un altro giorno. Qua, nessuno ha fretta. Come team sportivo, lo ammetto, siamo molto molto poco competitivi.

domenica 29 luglio 2012

Mille chilometri dopo



E forse anche qualcuno in più! Siamo arrivati a Sarajevo. Dopo la tappa a Venezia, non si può dire che abbiamo perso altro tempo! Ben tre confini in un giorno solo. Italia - Slovenia, Slovenia - Croazia, Croazia - Bosnia Herzegovina. Alle frontiere, quando ci chiedevano dove stavamo andando, bastava rispondere "A Dushanbe, nel Tajikistan" che ti restituivano i passaporti e ti cacciavano via con una faccia da "questi sono pazzi".
Saremo anche pazzi ma intanto a Sarajevo ci siamo arrivati. Simpaticissimi i doganieri bosniaci, ai quali è bastato vedere il grande adesivo degli amici di NoBorders che campeggia sul cofano della nostra Gengis Khar per alzarci le sbarre di controllo con un sorriso ed un inchino. "Senza confini? Passate pure!" Purtroppo, sappiamo bene che non sarà sempre così.
Sulla strada, fedeli alla nostra idea di viaggio lento, abbiamo abbandonato l'autostrada già in Slovenia per strade meno battute e più a misura d'uomo. Così da Karlvac abbiamo "tagliato" la Croazia e ci siamo sciroppati la Bosnia centrale, viaggiando tra un mare di verde.
Domani visita alla città martire di Sarajevo dove ancora sono segnate sul lastricato le "rose rosse" delle granate che falcidiavano la gente in fila per il pane e dove le case portano i segni delle mitraglie.
Nel pomeriggio, si riparte per le Porte di Ferro. Ancora a bordo della Gengis Khar.

sabato 21 luglio 2012

Pronti al Via!

Stavolta ci siamo davvero. E’ arrivato il momento di caricare la Gengis Khar e di puntare la bussola a est, verso Dushanbe. Si parte la sera di
sabato 28 luglio 
da villa Visconti Borromeo Litta 
Lainate, Milano. 

La registrazione degli equipaggi comincerà alle ore 21,30 e sarà naturalmente anche l'occasione per una bella festa. Noi della Gengis Khar ci auguriamo che tutti gli amici che vivono vicino a Milano passino a salutarci. Ci saranno bibite (rigorosamente analcoliche solo per chi deve guidare) e musica. 

Il Via verrà dato alle ore 23, seguendo una starting list che prevede la partenza di un team ogni 5 minuti.

I team in partenza saranno in tutto nove:
Team Touring da Milano
Team Bachi da Seta da Alessandria - Quargnento - Cossato
Bugteam (il primo team tutto al femminile!) da Pavia
Team Free your M.I.N.D. da Torino
Team L'Arosa dei Venti da Lainate
Team Passaggio Libero da Ivrea - Sarzana - Montignoso - Forlì
Team Ci siamo Persia? da Merate
Team Ciurmànemica da Brescia
e ovviamente il vostro Team Gengis Khar da Lainate - Vanzago - Forlì - Ferrara - Venezia

Come già vi abbiamo spiegato, ogni team è libero di scegliere il proprio percorso: la steppa russa, le affascinanti strade persiane, le antichissime Bukara e Khiva, la mitica Samarcanda, il Lago d'Aral, il Mar Caspio e le indimenticabili vallate Tajike sino alla stupenda regione del Pamir. 
Tante le Vie possibili, nessuna strada obbligata e nessuna assistenza! 
Praticamente la storia della nostra vita!

Che altro dire? Ci vediamo a Dushanbe a fine agosto!


giovedì 19 luglio 2012

Silk Road Race: Strade, Cartine e Confini di Stato

Ancora da Noborders Magazine. L'ultimo post prima della partenza!

Tu guarda le cose che si imparano anche solo studiando una carta geografica. E di carte geografiche ne abbiamo studiate a chilometri quadrati, in questi ultimi giorni.Siamo a soli “meno dieci” dalla partenza. La Gengis Khar ha fatto la sua ultima revisione, pagato anche il bollo, sistemato l’assicurazione, il passaggio di proprietà e le altre burocrazie. Adesso è tutto a posto e la nostra Ford Escort può liberamente circolare per le strade. Che emozione metterla in moto e farla finalmente uscire dal garage dell’azienda di Lainate dove lavora Angelo!

La prima tappa è stata Ferrara, dove vive Grazia. “Venite da me – ci ha invitato l’unica donna del team – che ho organizzato una presentazione del nostro viaggio con gli amici dell’associazione PortAmico con la quale lavoro”. Un’opportunità da non perdere, sia perché l’associazione PortAmico conta numerosi migranti provenienti proprio dai Paesi che dovremo attraversare, sia perché era l’occasione giusta per sistemare gli ultimi dettagli del viaggio dopo le erculee fatiche per procurarci i visti necessari a varcare le frontiere. fatiche non ancora concluse, per la verità. L’impossibile visa tajiko, che in Europa lo rilascia solo l’ambasciata di Londra, ci siamo rassegnati a chiederlo a Tashkent. Sperando in bene…

Per preparare nei dettagli il viaggio, avevamo deciso di dividere l’intero percorso in cinque tratte:

1) Milano – confine Serbo/Rumeno

2) Romania e Moldavia

3) Ucraina e Russia

4) Kazakistan e Uzbekistan

5) Tagikistan e viaggio di ritorno

Ogni membro del team ha preso in carica una di queste tratte con il compito di studiare i percorsi, valutate i giorni di permanenza, informarsi sugli hotel, sulle cose da vedere, sul cambio.

L’invito a Ferrara aveva lo scopo di…unire i puntini, come nel famoso gioco enigmistico, per vedere cosa ne saltava fuori. E la figura che ne è saltata fuori assomiglia in tutto e per tutto ad un bel punto di domanda. Le certezze si fermano sulla frontiera con la Romania. Poi è tutto un “vediamo coma va”. Gli amici rumeni che abbiamo incontrato a Ferrara, grazie all’associazione PortAmico ci hanno messo in guardia. “La strade non sono come da voi. Si viaggia lenti. Se trovi un carretto trainato da cavalli ti tocca accodarti per chilometri. E poi le regole cambiano di giorno in giorno…”. Si può passare il confine a Galati ed entrare in Ucraina dal sud? Ecco una domanda cui nessuno ha saputo darci una risposta. Secondo alcuni siti, anche quelli ufficiali del governo rumeno, pare che il traghetto sia riservato ai residenti. Su alcune mappe c’è pure una strada indicata. “Ah, sì l’ho vista anche io – ci ha assicurato uno degli amici rumeni che, tra l’altro, lavora proprio come autotrasportatore – ma è rimasta solo sulla mappa. Devono ancora costruirla!”

Hai capito? Da queste parti prima disegnano le strade sulle cartine e poi – se va bene – le costruiscono!


Ma è ancora più preoccupante il rovescio della medaglia: le cose cioè che non sono inserite nelle mappa ma che nella realtà dei fatti esistono. Volete un esempio? Alzi la mano chi conosce la Transnistria. Pochi scommetto. Neppure noi ne sospettavamo l’esistenza. E se il nome già vi pare inquietante, aspettate di leggere le poche notizie che abbiamo trovato su questo stato fantasma spulciando su siti come Peacereporter. “una sottile striscia di territorio moldavo che si estende tra la sponda est del fiume Dniester e il confine ucraino – si legge -. La Transnistria è “uno Stato fantasma. Ha una sua bandiera, un suo presidente, un suo governo, un suo parlamento, una sua moneta, un suo esercito, una sua polizia. Ma nessun paese al mondo ne riconosce l’esistenza”. Uno Stato dove la parola “democrazia” si scrive con la maiuscola, considerando che il presidente in carica vitalizia è stato eletto con ben il 103% dei voti validi. Miracoli della matematica! La Transnistria si è dichiarata indipendente nel ’91 tra il menefreghismo della comunità internazionale e l’incapacità di reazione della Moldova che non ha neppure un esercito vero e proprio (non per amore della pace, ma perché se lo sono venduto). La Transnistria rimane così l’unico Stato ex Urss ancora dichiaratamente leninista, tra sventolio di falci e martelli, e statue a Marx, Lenin e Stalin ma, avverte Peacereporter, “dietro la vernice rossa del veterocomunismo si nasconde il vero potere: la mafia russa, che ha trasformato questa repubblica in un paradiso del contrabbando di droga, petrolio, alcool, sigarette e soprattutto armi. Dalle vecchie fabbriche di Tiraspol, tutte di proprietà della Sherif, escono pistole Makarov, mitragliette Policeman, lanciamine Vasiliok, lanciagranate Gnom e Spg9, lanciarazzi anticarro Rpg7, razzi Bm 21 Grad, missili portatili Duga. E dio solo sa che fine hanno fatto i razzi Alazan con testata a isotopi radioattivi che fino a qualche anno fa erano piazzati all’aeroporto di Tiraspol o, peggio ancora, le enormi quantità di sostanze chimiche e radioattive un tempo stoccate nei locali magazzini militari dell’Armata Rossa”. Qualche ingenuo potrebbe domandarsi come la comunità internazionale possa tollerare l’esistenza di un tale “Stato Canaglia” senza che qualcuno proponga contro la Transnistria anche solo un centesimo delle sanzioni che ancora oggi continuano ad impoverire Cuba.
La risposta è semplice. La Transnistria è utile quanto, e forse anche più della Svizzera: in questa sottile strisci di terra distesa lungo il confine moldavo ucraino vengono a rifornirsi, come ad in un gigantesco “discount”, i dittatori, i servizi segreti più o meno deviati, le mafie e i gruppi terroristici di tutto il mondo. Anche la Transnistria ha un suo perché. Per noi della Gengis, che non siamo mafiosi e neppure in combutta con la Cia, questo staterello delle banane è meglio se ce lo evitiamo. Anche soltanto per non pagare visti e tangenti – che in queste frontiere sono la regola - a dittatori e mercanti d’armi. Non per niente tra i tanti loghi che a Ferrara ci siamo divertiti ad appiccicare sulla nostra auto, assieme a quelli della Silk Road Race, degli amici di NoBordersMagazine, di PortAmico e delle altre associazioni che ci accompagneranno idealmente lungo la nostra Via della Seta, c’è anche la bandiera arcobaleno della pace. Non è una concessione modaiola. Noi crediamo davvero che un altro mondo, un otro mundo per dirla con gli zapatisti, sia possibile. Un mondo senza mafie, dittatori e mercanti d’armi.

Riccardo B. – Gengis Khar Team

sabato 14 luglio 2012

La Gengis Khar si è vestita a festa!

La prima uscita della nostra mitica Ford Escort è stata questo sabato, quando Angelo e Paolo le hanno fatto scaldare i motori per raggiungere Ferrara. L'associazione PortAmico ci attendeva per una presentazione del viaggio e per donarci un contributo per il Cesvi. Inutile dire la la Gengis ha risposto alla perfezione a questa sua prima prova su strada e ha fatto cantare il motore come il proverbiale usignolo. A Ferrara, con il team riunito (quasi) al completo, ne abbiamo approfittato per "vestire" la nostra auto con i numerosi adesivi donati da sponsor, amici e organizzazione.
Diciamoci la verità: ci siamo divertiti un mondo! Per certa gente tutte le occasioni sono buone per ritornar bambini!
L'incontro con gli amici pakistani e rumeni di PortAmico ci è comunque stata molto utile per definire le tappe del viaggio, tutto improntato sulla più autentica filosofia del viaggiatore: andiamo là, e quando siam là vediamo che fare!






mercoledì 11 luglio 2012

E' arrivato il visto uzbeko!

Buone notizie per la ciurma. L'Uzbekistan ci ha concesso - finalmente - il visto per entrare nel suo territorio. Non è stato per niente facile. Proprio una settimana fa, i nostri documenti ci erano stati respinti  con la motivazione che non avevamo indicato con sufficiente chiarezza le nostre professioni. Ma era una giornata particolare. Quella mattinata, ci hanno raccontato, tutte dico tutte le richieste di visto arrivate in ambasciata sono state respinte al mittente. Si vede che il signor console si era alzato con la luna storta. Pazienza. Abbiamo rifatto tutto. Chi era giornalista, stavolta, ha scritto che era un "impiegato" (la premiata categoria dei contabile per mestiere non è ben vista da quelle parti) e, miracolo miracoloso, ci hanno detto di sì. La democratica repubblica dell'Uzbekistan è pronta ad accogliere la Gengis Khar e il suo equipaggio.
Ma non è mica finita qui, eh? Ci manca ancora il visto russo (arriverà in tempo?) e, in quanto a quello tajiko, ci abbian messo una croce su. Nel senso che ci siamo già rassegnati a salpare senza. Vedremo di arrangiarci a Tashkent, adesso che siamo sicuri di poter arrivare perlomeno sino a qua. Bisogna prenderla con filosofia e continuare ad avere fiducia sulla divina provvidenza. Qualche santo, alla fin fine, provvede sempre. E la Gengis, di santi,  ne deve avere uno tutto suo!


E già che siamo in tema, allego la mail di Angelo, che più di tutto il resto della ciurma, si è fatto in quattro (e magari anche in otto e in sedici) per tenere i collegamenti con l'ambasciata uzbeka.
"Ora che è tutto a posto posso confessare che ero un po in ansia per questo maledetto/benedetto visto uzbeko.
si vede che è prassi respingere le richieste al primo tentativo però...:
sabato i ragazzi di un altro team ci dicevano che a loro la prima volta è stata respinta la richiesta perchè hanno scritto:
ingresso il 10, uscita il 17, permanenza 8 giorni.
eh no cari ragazzi, dovevate scrivere 7 dico sette giorni non 8
tra lunedi e ieri avrò riguardato i nostri moduli almeno 100 volte per essere sicuro di aver scritto un 7, e invocato santi, dei, e peccatori di ogni religione perchè il console firmasse il visto.
mi ero gia fatto tante di quelle seghe mentali su quali scenari ci si sarebbero aperti nel caso non avessimo avuto il visto uzbeko...mi vedevo gia vagabondo tra il deserto kazako, senza meta, alla ricerca di un modo di aggirare il paese di samarcanda, o a passare la frontiera lanciando la gengis a 250 all'ora entrando clandestino in uzbekistan.
non succederà niente di tutto questo (forse),e la gengis sfreccerà lo stesso a più consone velocità sul suolo uzbeko
a presto
ciao
a"

martedì 10 luglio 2012

La Ciurma Ep.2

Sempre da NoBorders Magazine 
Tornano i temerari della Silk Road Race. Nella scorsa puntata Grazia e Riccardo ci hanno raccontato come affrontano questo viaggio. Questa volta è il turno di Angelo e Riccardo che si preparano in modi molto diversi. Oggi ci raccontano come.


Una giornata tra i pensieri di Angelo:

E’ un giorno qualunque; sveglia, colazione e al lavoro in bici. Fa caldo e allora ne approfitto per pedalare un po’. E’ un giorno qualunque, al lavoro non so cosa avrò da fare, non molto visto il periodo, ma tanto la testa è da tutt’altra parte. E’ un giorno qualunque ma manca un mese, solo 30 giorni e si parte. Eh già, la testa anche adesso che sto pedalando verso l’officina dove lavoro vaga libera verso il Tajikistan. Devo ancora fare la revisione all’auto ed un controllo, almeno a tutto quello che non sono in grado di fare io: olio del cambio, pastiglie dei freni, liquido del radiatore; devo anche andare a prendere la piastra da fissare in qualche modo sotto il motore. La radio fa un po’ di capricci ma sono sicuro che l’auto sarà a posto per la partenza. Comunque prima del 28 luglio avrò 15 giorni per guidarla e provarne le sensazioni . Piuttosto, chissà se i nostri passaporti oggi arriveranno. Li aspettiamo con ansia: dobbiamo ancora fare il visto per il Tajikistan e sembra facile ma non lo è per niente. Poi le magliette: finalmente le hanno spedite e oggi arriveranno e poi la grigliata happy hour con i nostri amici per festeggiare l’auto e il viaggio e raccogliere un po’ di beneficenza a favore del Cesvi. Devo anche chiamare chi sta stampando gli adesivi, sono ormai 10 giorni che doveva consegnarli. E poi, e poi… L’intesa con i miei compagni di viaggio cresce giorno dopo giorno, tra e-mail e telefonate per riferire, chiedere, pianificare, progettare cose che tanto poi andranno cambiate se non stravolte ma “chissenefrega”, il bello è anche quello di poter fare e disfare tutto o quasi fino a quando non saremo in auto la sera del 28 luglio e prenderemo la strada per l’Est. E’ appunto un giorno qualunque, come ieri e come domani, in cui da quando mi sveglio a quando vado a dormire ho in testa questo viaggio cominciato un anno fa e ormai in dirittura di partenza.
Angelo

L’approccio “atletico” di Riccardo:
Tra i miei vari “non lavori” il principale è quello di andare in posti del mondo improbabili, con mezzi di trasporto improbabili e con gruppi di persone sconosciute che però si aspettano molte cose da me. La preparazione e l’organizzazione preventiva del viaggio diviene dunque un momento fondamentale anche perché il più delle volte nemmeno io sono mai stato in quel paese improbabile… ma questa è la mia vera sfida, alzare l’asticella sempre più in alto e vedere fino a che punto so saltare. La prima cosa che ho detto ai miei compagni di viaggio è stata: ragazzi, io non faccio il capogruppo in questo viaggio (ho infatti conosciuto tutti i maschietti del gruppo in alcuni di questi paesi improbabili, avente funzione di far saltare l’asticella a me e a loro…). Per la prima volta dopo tanto tempo non mi sento responsabile delle mie scelte. Mi sto godendo questo limbo di incoscienza e spensieratezza. Delegando. Tu ti vuoi occupare di questo? Per me va bene. Tu invece di quest’altro? Benissimo!! Non ho ancora la minima idea dell’itinerario che effettueremo ne delle asticelle che dovremo superare. E’ anche vero che sono già stato in quasi tutti i paesi che attraverseremo ma in tempi ormai lontani e con altre modalità. Sono anche il “santone” dei Mattacchioni Volanti, l’unico del team ad appartenere a quella banda di strani personaggi. In quasi tutte le città dove dormiremo mi esibirò con lo spettacolo della levitazione, sono molto curioso, chissà come reagiranno i russi e gli ucraini considerando il tasso alcoolico delle lunghe serate estive. E i pastori della steppa Kazaka e Uzbeka. E gli integralisti Tagiki. Non posso dirvi molto di più ma per organizzare il “tour asiatico” dei Mattacchioni occorrono sforzi tecnici e logistici, ma anche qui, da buon paraculo, sto delegando, i miei collegi mattacchioni sono al lavoro per ottimizzare questa imprevista avventura e io sono la “star” che si sta riposando in vista degli impegni futuri!
Se mi sento in colpa? E perché dovrei? Manca un mese alla partenza e non voglio uscire da questo limbo, anzi ci si sta benissimo: per ora!!! Conoscendomi sono certo che fra un paio di settimane l’adrenalina inizierà a circolare copiosamente, pian piano mi renderò conto di quello che mi aspetta. Il battito cardiaco aumenterà, la lucidità avrà il sopravvento sull’emozione, inizierò la lunga rincorsa e finalmente spiccherò il volo per superare questa nuova splendida asticella.
Riccardo P.

sabato 7 luglio 2012

Sabato 14 la Gengis Khar sarà di scena a Portomaggiore (Ferrara)

Finalmente la Gengis Khar accederà i motori! Il suo viaggio inaugurale lo farà sabato prossimo dalla provincia di Milano alla provincia di Ferrara, da Lainate a Portomaggiore, dal cuore della Lombardia al cuore dell'Emilia.

L'associazione Portoamico, di cui sotto riportiamo una breve presentazione, ci ha invitati ad una serata inaugurale.
L'appuntamento è per 

sabato 14 luglio alle ore 20 
teatro Concordia di Portomaggore, 
corso Vittorio Emanuele II 
Portomaggiore (Ferrara)

Se preferite vi diamo pure le coordinate: 44°41'47"N 11°48'25"E. Così siete sicuri di non perdervi se venite in barca!!!
Noi del team ci arriveremo, naturalmente a bordo della nostra mitica Ford Escort, e porteremo magliette, adesivi, cartoline per tutti i notti tifosi. Chi di voi è dell'Emilia non può non venire, chi non è dell'Emilia... beh, è una buona occasione per venire in Emilia. 

E se vi state chiedendo che cosa è e di che cosa si occupa l'associazione Portoamico, eccovi la presentazione promessa.
L'associazione Portamico è nata sei anni fa quando Portomaggiore era scesa ad un numero inferiore ai diecimila abitanti, perdendo il titolo di città e, cosa più grave, la popolazione invecchiava e gli investimenti per qualunque tipo di attività stavano cessando. Portomaggiore era diventato il Comune italiano con la più bassa natalità.
In compenso, Portomaggiore aveva una posizione ferroviaria invidiabile, infatti con il treno si raggiungono facilmente Bologna, Ferrara e Ravenna, ed un mercato degli affitti decisamente inferiore.
Gli amministratori, sfruttando tali caratteristiche e temendo lo sfrangiamento definitivo del tessuto sociale, hanno così incoraggiato l'arrivo e la residenza di migranti. Inizialmente provenivano tutti dal Marocco, poi dal Pakistan e, un po' alla volta, da tutto il resto del mondo. E con loro, sono arrivare anche le loro famiglie. Portomaggiore ha così cominciato a riprendere vita e, per far fronte ai nuovi problemi e favorire l'inserimento dei nuovi cittadini, l'amministrazione comunale ha deciso di istituire una Consulta per l'immigrazione. Nelle scuole in particolare, si stavano creando allarmanti tensioni. 
Su questo scenario, ricco di prospettive ma anche di problemi da affrontare, un gruppo di persone ha scelto, come consigliava un certo Lao Tzu, di "accendere una luce invece di maledire il buio" e si è costituita in una associazione multietnica che ha chiamato Portoamico. 

giovedì 5 luglio 2012

La Ciurma Ep.1

Ancora da NoBorders Magazine   
Continua il nostro viaggio di avvicinamento alla Silk Road Race.  Proviamo a conoscere un po’ meglio le persone che hanno deciso di intraprendere questa avventura. Questa volta è il turno di Grazia e Riccardo, due dei cinque componenti del Gengis Khar Team.
Iniziamo con Grazia:
Viaggiare è uno stato mentale, un’emozione, una magia. Quando si diventa viaggiatori si entra in una strana congrega sottoponendoci ad un rito di iniziazione che prevede il salto di un confine, un andare al di là di qualcosa, il tutto senza rete. I viaggi che compio ora, al confronto dei viaggi della mia infanzia sono poca roba. La Sardegna, il continente nel quale sono nata, mi ha sottoposta precocemente a tale iniziazione ed a frequenti richiami che mi hanno condizionato ad una percezione molto personale della dimensione viaggio. Viaggiare per me ha sempre significato attraversare un mare ed ho cominciato a farlo da bambina. Lo facevo spesso perché una buona parte della mia famiglia abitava di là dal mare. Viaggiare era: arrivare ad un porto, sostare per le formalità di rito, entrare nella pancia di una nave, imbarcare una vettura, guardare il momento dello stacco dalla banchina, sentire la sirena di saluto al porto, addormentarsi vedendo le luci di una costa che si allontanavano e svegliarsi ai primi bagliori del sole che di costa ne illuminavano un’altra. Il confine era per me uno spazio molto definito, quello del mare, ed un tempo sempre lungo, l’attraversata. Era fantastico perché capivo, ho capito da sempre, che il viaggio non era una necessità, ma un’impellente, inutile urgenza di andare per abbandonare l’immobilità e della certezza. Anche lo spostamento per la villeggiatura era qualcosa di speciale. In Sardegna non c’è il mare e raggiungere questa realtà così tanto temuta dai sardi richiedeva l’attraversamento di una galleria.

Al di là di questa la montagna precipitava in una manciata di casette in riva al mare. Non era per me un semplice andare in vacanza, era rompere con un tempo, quello della scuola, delle scarpe e soprattutto della calze, dei vestiti di città, della monotonia di una città monotona, per entrare in un’altra dimensione. Si arrivava a Gonone guardandola dall’alto, perdendone la vista in una vertigine fiduciosa, man mano che ci si avvicinava. Si entrava in armonia, all’arrivo, con un mare che si sottraeva ai sardi e si donava ai pescatori ponzesi che l’avevano colonizzato. La sensazione di quei momenti l’ho ritrovata l’estate scorsa quando, in Indonesia, abbiamo raggiunto il villaggio di Lamalera dove si pesca, con un rispetto arcaico della natura, la balena. Da quando non vivo più in Sardegna viaggiare è facile: sono pochi i luoghi che non posso raggiungere a piedi. La magia del porto ha ceduto a quella del primo passo, di una porta chiusa alle spalle per entrare in un altrove sconosciuto, ma senza barriere. Un rally è la quintessenza dell’andare. Si esce di casa, si sale in macchina, si accende il motore e via! La nostra Ford blu è la mia nave. Io confermo la mia percezione del mondo alla rovescia e mi godo il fatto che quelli che per altri possono essere ostacoli, difficoltà, per me sono sciocchezzuole che non costituiscono problema: siamo, come direbbe ogni sardo, in continente! Controllo e ricontrollo l’itinerario e ogni volta mi stupisco nel constatare che i novemila chilometri che percorreremo non ci costringeranno a nessuna traversata dentro una nave. Che lo spostamento sarà controllabile, che scivoleremo nei paesaggi, nei volti, nelle lingue in continue dissolvenze e messe a fuoco in quotidiani futuri. Non ci sarà un trauma, un distacco ed è bellissimo. Ho abbastanza esperienza per immaginare che i compagni di viaggio, alcuni appena conosciuti, saranno dopo pochi giorni, amici di una vita con i quali condividere le pause tanto indispensabili per il Bottazzo di un buon caffè preparato al margine di qualche strada. Accantono pian piano tutto ciò che mi potrebbe servire e lo poggio su di un letto accanto allo zaino di sempre. Ogni volta che compio questa operazione mi accorgo che le cose di cui ho bisogno sono davvero poche, prepararle però mi serve per le prove generali, per viaggiare già con la mente. Questi giorni presiedo una commissione di maturità nelle zone terremotate e imparo da alcuni di questi ragazzi che la vita richiede un allenamento continuo per procedere con leggerezza nel nomadismo.
Grazia


E ora è il turno di Riccardo:
Per trovare un cane che sapesse dove caspita è Dushanbe, ho dovuto sciropparmi la Giornata del Rifugiato. A parlare con gli indigeni di qui (dei veri selvaggi) era tutto un “Dush… Dush… dov’è che stai per andare?”
Dushanbe! La capitale del Tajikistan.
“La capitale di che?”
Del Tajikistan. Ta – ji – ki- stan! Non hai presente? Tra l’Uzbekistan e il Kirghizistan c’è per l’appunto il Tajikistan, ignorante (nel senso che ignori)!
“Tu sei fuori come un pergolo, altro che!”
Questa non è una novità.
“E ci vorresti andare in macchina che non hai neanche la patente e ti perdi già a Mestre, deficiente (nel senso di deficiente, proprio)?”
Ho girato mezzo mondo perdendomi dappertutto, combinando casini mica da ridere e senza aver mai capito a che cosa serve quel pedale centrale che chiamano frizione. (Ovviamente il pedale centrale è il freno. Ndr) E comunque, oltre a saper portare una gondola, ho pur sempre la patente di vela oltre le 12 miglia, no? Senti un po’ che linguaggio: cazza la randa, stramba la boma, lasca il fiocco, cala l’àncora… casomai incontrassimo un mare io sono pronto!
“No, guarda… tu sei pronto solo per il manicomio”.
Grazie a dio la Basaglia li ha chiusi e quelli come me possono stare tranquilli. Sperando che non cambi il vento.
Per trovare gente più informata sulle cose della vita me ne sono andato alla festa che la comunità afghana di Venezia ha organizzato per la Giornata del Rifugiato, mercoledì 20 giugno, alla sala San Leonardo. Io, lo avrete capito, sono una persona dalle priorità etico-gastronomiche ben definite. Così, per prima cosa, mi sono fatto scrupolo di ingozzarmi come un’oca da ingrasso al buffet: riso basmati, ferni al cadamomo, kabaub shaami e sambosay goshti. No. Non sono un esperto di cucina asiatica. Adopero soltanto la semplice quanto collaudata tecnica di spazzolare tutto quello che riesco a farci stare sul mio piatto, fare un secondo giro, rispazzolare, e poi, a stomaco pieno, prendere nota delle targhette davanti ai piatti. Quindi, con l’animo rinfrancato per aver fatto il mio dovere di giornalista, vado col terzo giro puntando però solo sui piatti che mi han dato più soddisfazione. Che non vorrei metter peso.
Quando alzarsi diventa un problema, arriva il momento della conversazione. Là dentro conoscevo tutti. C’erano gli amici della Tenda della Pace del Friuli venuti a raccontare cosa succede a Gradisca d’Isonzo, dentro le mura di quel lager chiamato Cie, c’erano i compagni della Rete Tuttiidirittiumani con i quali ho condiviso non so più quante battaglie (quasi tutte perse) a tutela dei diritti dei richiedenti asilo, dai porti greci come Patrasso a quelli adriatici di Ancona a Venezia. C’erano allievi e docenti della scuola Liberalaparola che al cso Rivolta ogni anno organizza corsi di italiano gratuiti e aperti a tutti. E sottolineo “tutti”. Perché con i diritti fondamentali non ci sono mezze misure: o sono di tutti o non sono di nessuno. Un anno fa ci ho scritto pure un libro, su questa esperienza. E’ in libero dowload e chi è interessato se lo può scaricare da questo link. E poi c’erano gli amici di Melting Pot, dai quali era salutare tenersi lontano perché ero (e sono ancora) in ritardo marcio col pezzo che gli avevo promesso da due settimane, i ragazzi del Morion, Radio Sherwood, Emergency…
Insomma, se è vero che la Giornata del Rifugiato è una ricorrenza in cui c’è ben poco da festeggiare, è anche vero che rimane comunque un’occasione di incontro per tutto il variegato, e combattivo, arcipelago alternativo che fluttua sulla laguna dei Dogi. Casa mia. L’iniziativa a San Leonardo, ho già scritto, è stato organizzato dalla comunità afghana con lo scopo di tirar sù qualche lira per una scuola. Dietro i fornelli, a mescolare il basmati, ho ritrovato Hamid. Hamid è un nome come un’altro. Il ragazzino è ancore minorenne e la Carta di Treviso mi obbliga – giustamente – a tutelarne l’anonimato.
“Dushanbe? E’ stata la prima tappa del mio viaggio verso l’Europa. Io vivevo nel nord dell’Afghanistan e non sono potuto andare direttamente in Iran, come invece hanno fatto altri miei amici: Prima son dovuto passare per il Tajikistan, l’Uzbekistan e il Turkmenistan. Tre mesi di viaggio in più e tante botte. Di Dushanbe ricordo che era una grande città. La prima grande città che avevo mai visto. Mi venne da chiedermi se tutto il mondo dietro le mie montagne fosse così: caotico e pieno di auto. Non sapevo ancora cosa mi aspettava. Ma io, lo sai bene, sono nato in un piccolo villaggio. Magari a te non farà la stessa impressione. A te che sei nato in una città diversa da tutte le altre”.
Alla terza mestolata di riso, Hamid ci aggiunge un consiglio: “Stai attento ai poliziotti che sono molto cattivi. A me ne hanno date davvero tante. Ma forse, anche in questo caso, per te sarà diverso. Sei europeo e hai anche i documenti in regola. Sei nato dalla parte giusta del mondo”.
Per adesso. Mi sa che di questi tempi si fa presto a passare dalla lista dei “buoni” a quella dei “cattivi”.
Hamid mi spiega che Dushanbe in lingua locale significa lunedì. Gli chiedo se dalle sue parti è normale dare nomi di giorni alle città.
“Ma no! Era il centro di un famoso mercato di stoffe e cammelli che si svolgeva per l’appunto il lunedì. La città gliela hanno costruita attorno. Tutti i mercanti a dire ‘ci vediamo qui lunedì’, ‘ci vediamo qui lunedì’ e così il nome le è rimasto. Ma tu stai tranquillo che anche se ci arrivi di martedì o di mercoledì la trovi lo stesso”.
Ma sì! Da uno che cucina il riso così bene e ti mette sul piatto porzioni così abbondanti mi lascio volentieri prendere per i fondelli. Hamid poi è davvero simpatico. Lavora come sarto per pagarsi gli studi ma mi sistema sempre l’orlo dei pantaloni senza accettare un centesimo. Non è un grande affarista. Avessi subito io solo un centesimo di tutto quello che ha passato lui sarei incazzato come una bestia col mondo intero. Lui è per metà hazara e per metà pashtun. Vent’anni fa i matrimoni misti in Afghanistan erano normali. Oggi, dopo che hanno fatto di tutto per farli diventare integralisti portandogli la democrazia e tirandogli missili intelligenti in testa, capita che ti sgozzino il padre e la madre e a te tocca scappar di casa per non fare la stessa fine. Neanche a dirgli “ti saluto qualcuno, giacché vado dalle tue parti?” che lui è il solo sopravvissuto del suo villaggio, dopo che son passati i bombardieri americani a finir l’opera dei talebani.
Ascolta Hamid, parlando di cose serie, fammi un po’ un bell’elenco di insulti in lingua locale che voglio essere ben preparato, casomai dovessi attaccar briga con qualche poliziotto…
Hamid ride come un bambino – e non è che sia molto più adulto – e mi schizza sulla tovaglia di carta una lunga lista di parole incomprensibili. Passo la serata ad esercitarmi sulla pronuncia scatenando l’ilarità di tutta la comunità afghana.
Io sto allo scherzo ma non posso fare a meno di pensare che questi ragazzi che non hanno più di vent’anni sulle spalle, hanno già percorso tutta la strada che sto per fare io. Ma l’hanno percorsa in senso inverso, da oriente ad occidente, viaggiando come dei veri viaggiatori; senza soldi, senza un tetto, senza un punto di riferimento, senza documenti, senza un futuro certo. Arrivato a Dushanbe io avrò una stanza d’albergo che mi aspetta e un biglietto aereo già stampato per la mia Venezia. Cose da poco ma che Hamid non ha potuto avere.
Riccardo B.
Credits: foto di Carl Montgomery ;foto di Mario Carboni ; foto di RobBole su Licenza CC